Disturbi del comportamento alimentare

Valutazione, sostegno nel rapporto col cibo, corpo, peso e immagine corporea.

Quando parliamo di disturbi del comportamento alimentare come Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa o Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating) non ci riferiamo semplicemente a un problema con il cibo. Il DSM-5 li definisce come alterazioni persistenti del comportamento alimentare o del rapporto con il corpo che comportano una compromissione significativa della salute fisica e del benessere psicologico. Ma dietro la definizione diagnostica c’è una realtà più complessa: un corpo che parla, un linguaggio silenzioso attraverso cui la psiche cerca di esprimere ciò che non riesce a dire a parole.

Nella mia esperienza clinica, i disturbi alimentari rappresentano spesso un modo di comunicare emozioni non simbolizzate, di trasformare il dolore in gesto, il vuoto in controllo, la vergogna in rituale. Il sintomo alimentare diventa un modo di contenere l’angoscia, di difendersi dall’intrusione dell’altro o di ristabilire una parvenza di ordine in un mondo interno percepito come caotico. Il corpo si trasforma così nel teatro visibile di una lotta invisibile: il tentativo di ritrovare potere, confini e identità quando le parole non bastano o non sono mai state accolte. Dietro al conteggio ossessivo delle calorie, alle abbuffate segrete, ai rituali di compensazione, si nascondono spesso copioni di vita e messaggi interni profondamente radicati: “Devo essere perfetto per essere amato”, “Mostrare i miei bisogni è pericoloso”, “Controllare il corpo è l’unico modo per non sentire”.

Queste narrazioni non si modificano con la forza di volontà, ma attraverso un processo di consapevolezza e rinegoziazione profonda, che passa per il riconoscimento delle emozioni negate e delle parti di sé rimaste inascoltate. Nella prospettiva dell’Analisi Transazionale, il lavoro sui disturbi alimentari implica l’esplorazione delle dinamiche tra i diversi stati dell’Io. La voce del Genitore Critico può manifestarsi come giudizio sul corpo, controllo rigido o vergogna; il Bambino può sentirsi vulnerabile, affamato di affetto, spaventato dall’abbandono; l’Adulto, spesso indebolito, ha il compito di ristabilire equilibrio, di accogliere entrambe le parti e di trasformare il sintomo in linguaggio. In questa prospettiva, il sintomo non è il nemico da eliminare, ma una forma di protezione che merita ascolto e comprensione. Integro l’Analisi Transazionale con interventi orientati alla regolazione emotiva, al riconoscimento delle sensazioni corporee e alla ricostruzione dell’immagine di sé.

Il corpo viene progressivamente riscoperto non più come un oggetto da controllare, ma come un alleato da cui ripartire: un luogo da abitare con maggiore presenza, curiosità e gentilezza. Attraverso la relazione terapeutica, la persona può imparare a riconoscere i propri bisogni autentici, a darsi il permesso di sentire e a sostituire il controllo con la fiducia. Il percorso di cura coinvolge spesso anche il contesto relazionale. I disturbi alimentari tendono a crescere nel silenzio, nell’isolamento e nel segreto; per questo, ricostruire la capacità di chiedere aiuto e di condividere le proprie esperienze diventa parte fondamentale del processo terapeutico. Il messaggio centrale del percorso è chiaro: non sei definito da ciò che mangi, dal tuo corpo o dal numero sulla bilancia. Dietro al sintomo c’è una persona intera, con la sua storia, i suoi bisogni e la sua voglia di vivere. La guarigione non significa soltanto ripristinare un comportamento alimentare regolare, ma imparare a nutrirsi di nuovo: di relazioni, di emozioni, di senso.

Il mio approccio non è legato a un unico modello teorico: integro strumenti e tecniche diversi, includendo anche i concetti dell’Analisi Transazionale, che permettono di leggere i modelli relazionali e le dinamiche emotive profonde. Il mio obiettivo è costruire percorsi personalizzati che aiutino le persone a comprendere se stesse, a gestire meglio le emozioni e a recuperare benessere ed equilibrio.